Parrano, ottobre 196*?

La 1300 targata Milano entra a fatica nel vicoletto in fondo al paese. Casupole che sembrano colombaie, lillipuziane finestre col basilico e i gerani, cani e bambini che si rincorrono
e un vecchlo appiccicato al muro per dare il passo alle ruote della macchina.

L’immacolata 1300 appartiene a un ex-contadino di Parrano partito dodici mesi fa per la Svizzera. Ha lavorato sodo, ha risparmiato sul cibo e sulle sigarette, non si è concesso un divertimento. Il suo obbiettivo era quello di mettere i soldi da parte per l’acquisto di una macchina fuori dall’ordinario. Tornare in 600 non avrebbe significato un gran che. « La 600-gli avrebbero detto potevi fartela anche al tuo paese, come il televisore e il frigidaire ». Ci voleva una macchina importante che avesse giustificato, con la sua mole, tante ore di straordinario passate tra le stalle e i pascoli di una fattoria elegante e lucida come una pista da ballo. Ora l’ex-contadino (dirà che in Svizzera ha fatto l’operalo specializzato in una fattoria) torna al paesello natale per convincere gli increduli, prima che se stesso, della “divina” visione economica balenatagli in terra straniera. Si sente un miracolato e per dimostrarlo preme il clacson della sua 1300. La moglie e i suoi due bambini che l’anno atteso per più di un anno no nella loro colombaia, sono già dentro la macchina. La 1300 rappresenta la nuova casa, il simbolo d’un immediato riscatto sociale, la prova della grazia economica ricevuta.

Parrano è un comune tra Orvieto e Città della Pieve, un piccolo paese umbro superbamente arroccato sul suo cocuzzolo. Nel 1943 si contavano nel suo territorio (circa quattro chilometri quadrati di terreno) 2174 abitanti.  Oggi questo numero è sceso a 1249 ma l’esodo dalle campagne continua inesorabile. Sono i vecchi artigiani a restare, i contadini che hanno fatto la prima guerra mondiale, oltre a qualche trattorista e muratore presso la tenuta di Franco Fantauzzi, nipote del presidente della Fiat. Fantauzzi, proprietario d’un kafkiano castello dominante cosiddetto Principato di Parrano, ha qui organizzato una delle più agguerrite riserve di caccia che sono in Italia: 1.500 ettari, fino a qualche anno fa coltivati a grano e a viti, tra fitte boscaglie e ariosi pascoli, sono stati da qualche anno recintati da una spessa rete metallica. Gli ultimi “pelirossa” furono fatti snidare dai loro casolari
e alcuni di loro con la buonuscita presero la via della Svizzera e della Francia.

L’occhio di Dio è divenuto, cosi, quello del guardiacaccia che punisce o assolve, a seconda del peccati. Intorno al ferro spinato che divide Parrano dall’Eldorado della riserva sostano dall’alba al tramonto corrucciati cacciatori, giacciono in attesa che qualche fagiano si decida a prendere il largo. Prima di andar famoso per questa fabbrica di fagiani (ne vengono allevati circa 40.000 all’anno) gni (1899) Parrano era menzionato come che in questa centro di inteletti chiari e di persone studiose.

TRANSISTOR E FUMETTI NEI CAMPI

E’ assai indicativo che un paesetto di appena 370 anime (tanto ne contiene lo sghembo muro di cinta) abbia potuto “produrre”, tra le due guerre magistratı della Corte Suprema e poeti, provvediori agli studi e architetti, fisici e radiologi, persino un questore!

Senza dimenticare che cento anni fa nacque a Parrano lo psicologo di fama mondiale Sante De Sanctis, che fu tra  i primi in Italia a sviluppare su basi sperimentali lo studio della psicologia e a riunire in un insieme organico i problemi specifici della neuropsichiatria infantile. Tra i suoi scritti ebbero particolare rinomanza “I sogni (1899)” che precedettero l’opera di Freud e che in questa trovarono appassionate citazioni. Oggi il paese è passato allo studio della psicologia del fagiano e non mancano esperti tra i cacciatori delle vecchie e nuove generazioni. Ed è così radicata, nei superstiti, la paura di venir scambiati per contadini, che i pochi giovani che lavorano la terra, si portano sempre dietro il fucile, e per stare all’altezza dei tempi, non disdegnano la radiolina a transistor, succhi di frutta, banane e romanzi a fumetti.

La sera al bar, si consumano di preferenza Coca-Cola e gelati raccomandati dal Carosello. Quanto al vino (che è tra i migliori della zona) i teleutenti di Parrano preferiscono un bicchiere di dolciastra “spuma”. Chi non gioca a carte, si addormenta davanti al video.  Alle 11 di notte grava tra le case un silenzio d’eremo.  Tra 5 ore si muoveranno le ombre dei primi cacciatori in viaggio verso quel muro invisibile che è il confine della riserva di caccia.

CROLLA IL TETTO DEL MUNICIPIO

Elio Galanello, il giovane sindaco comunista, è anche lui tentato ad abbandonare il paese, ma poi ci ripensa e non si stacca da questi sassi. Non è un cacciatore e ha tutto il tempo per meditare sulle miserie dell’agricoltura abbandonata a se stessa. Di che vive il Comune di Parrano? « Venga a vedere- mi dice il sindaco-in che stato è il nostro municipio. Abbiamo l tetto che crolla, l’impiantito senza più un mattone sano, le scrivanie e le sedie decrepite. La gente abbandona i campi e le nostre entrate diminuiscono paurosamente. Le uniche pratiche in piedi riguardano la patente e la licenza di caccia.

M’inerpico con lui verso il cimitero dove una chiesa sta crollando in mezzo alle tombe. Non c’è un’anima viva. Fichi secchi, croci in rovina, un gran senso d’abbandono. E’ come se il legame tra il ritmo alacre del passato e quello incerto e affannoso del presente si sia spezzato. Che volevano i rostri padri? Perché hanno lavorato la terra? Perché non si sono ribellati in tempo? Questo si chiedono i superstiti della grande epidemia agricola. E il numero dei morti che ormai va eguagliando quello dei nati rende più tenebroso il destino di Parrano.

I colpi di fucile che risuonano nella desolata campagna sono gli improvvisi trasalimenti d’una pace agreste che non ha più nulla di umano Cosa sta avvenendo? Forse per lavorare la terra occorre non soltanto quel briciolo di fede che certi imbonitori declamano in astratto, ma iniziative illuminate che offrano al contadino una nuova dignità morale ed economica.

Per adesso il piccolo e nervoso uomo che sta passando in fretta tra i solchi dei campi non crede che alle gambe delle Kessler e ai baffi di Walter Marcheselli. E ha certo le sue brave ragioni. Porta il cappello messicano e nemmeno risponde al mio saluto. Dovrebbe essere uno che semina, ma fatico a convincermene.  Il suo gesto ha perduto il gioioso fervore di un tempo.

Più in là scorgo un giovane sdraiato sotto un noce. Ascolta musica da ballo e ogni tanto si alza per urlare al messicano di fare presto “Dobbiamo raggiungere i compagni – mi dice – Domani è il settantesimo de partito socialista e io e mio cugino ce la filiamo a Roma”.

Le foto del reportage sono state realizzate dal fotografo Mario Dondero

Share This